lunedì 2 agosto 2010

Da IlMachete.it - Concetto al buio di Rosario Palazzolo


Il buio è generalmente mancanza di luce, è talvolta associato al silenzio, ma, in
qualche caso, può anche prendere la forma di una stanza senza porte né finestre,
squarciata da urla afone, da parole impresse in un vecchio quaderno che gridano
vendetta. Di un buio fitto ed interiore narra “Concetto al buio”, secondo romanzo di
Rosario Palazzolo, pubblicato da Perdisa pop Editore per la collana Babele suite, il
cui nucleo principale ruota intorno ad un ripugnante segreto talmente sconvolgente
da suscitare una rabbia incontrollabile e al tempo stesso irritante, così abietto da
far fuggire persino Dio, facendolo addirittura scomparire, per lasciare, al suo posto,
una persistente sensazione di stretta alla gola che non abbandona e avvince fino
all’ultima pagina. Nella penombra stagnante di una“ragionevole verità” e alla luce
evidente di infami soprusi, un tredicenne diventa, in un sapiente e arguto intreccio
narrativo, una sorta di uno e trino, vittima e testimone di una tragedia familiare che
chiude un cerchio infausto e maledetto sullo sfondo di una Palermo”storica” che
evapora, in un’apparente normalità, al cospetto di santi veri e finti predicatori.
La narrazione forte di una scrittura serrata, che offre il fianco a ben orchestrati
depistaggi, restituisce l’esatto timbro di una piccola” voce di strada” che travolge,
affonda come lama nei bordi di una ferita, a volte si stempera, raggiungendo lo zenit
nei memorabili passaggi che racchiudono i dialoghi impertinenti e dissacratori con
un Gesù, imputato e quasi condannato in contumacia, e che finiscono per restare
nella coscienza di chi legge come un urlo munchiano distorto.

Da IlMachete.it - Cartolina da Lisbona


02.08.2010 -

Lisbona, per me, si sveglia coi rugiadosi profumi mattutini del parco EdoardoVII che attraversano a raffiche Praça Marques de Pombal e si stiracchia fino all’Avenida da Liberdade in direzione Rossio.
In un cielo limpido, spruzzato da nuvole spettinate, mi incammino verso il mio incontro speciale con Teresa Salgueiro a Baixa.

Superata lestamente Praça dos Restauradores, la scorgo già da lontano, bella nel suo vestito rosso carminio e le labbra disegnate in un viso da madonna galiziana. Col cuore in corsa, dopo una stretta di mano ed un abbraccio, decidiamo per uno spuntino al Ribadouro.
Ordiniamo “sardinhas assadas” e un bicchiere di Madeira a testa, mentre, tra uno scambio complice di sguardi, discutiamo di musica e dell’età d’oro dei Madredeus.
Mi racconta tutto, ma sono i suoi occhi scuri e profondi a parlare di più.
Finito l’almoço, ci dirigiamo all’Alfama, il quartiere che, affacciandosi sul Tago, brulica di odori e voci. Nello sventolio di mille bandierine sospese risuonano i fuochi sbiaditi della festa di Sant’Antonio, meno
poetici dei passi di Philip Winter in Lisbon story e della voce tersa di Teresa che canta, come una novella Rodriguez, la toccante Ainda.

Un’improvvisa malinconia mi assale per restituirmi immediatamente a Praça do Comércio e al suo gioioso Festival dos Oceanos, dove il volo degli uccelli tra i fili dei tram disegna traiettorie sghembe in un tramonto dissolto in lontananza dalla sagoma del Cristo Rei.
Allora vado in cerca di un caffè: da A Brasileira, in Rua Garrett al Chiado, mi siedo accanto ad un Pessoa dall’immota posa a vagheggiare il suo tempo migliore.
Forse, più tardi mi perderò tra bicos e tascas nel chiassoso Bairro Alto.